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Prevenire le violenze domestiche: anche un questionario può aiutare

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o avuto la possibilità di dire come mi sentivo, senza che nessuno volesse propormi una soluzione o mi dicesse che sta peggio di me”. È solo uno dei feedback delle oltre 3.300 persone che - dal 3 aprile ad oggi - hanno accettato di partecipare, in via del tutto anonima, all’indagine promossa sul territorio nazionale dal Cipm, il Centro italiano per la promozione della mediazione e della giustizia riparativa.

Anche Cipm Emilia, che ha sede a Piacenza, ha aderito all’iniziativa, nata dalla presidente della sede sarda Susanna Murru con l’obiettivo non di effettuare una ricerca scientifica ma di fotografare quanto più possibile l’esistente della relazione di coppia. I dati permetteranno di individuare quali strategie mettere in atto in futuro per agire ancora di più e meglio nella prevenzione dei conflitti e, nei peggiori dei casi, delle violenze domestiche.

Dalle normali tensioni ai casi più gravi

La peculiarità delle équipe del Cipm - a Piacenza come in tutta la penisola - è inin fatti di lavorare non solo sul fronte delle vittime, ma anche dei maltrattanti. Lo fanno con progetti in carcere, su segnalazione dei Servizi sociali e della Questura o su richiesta degli stessi uomini che hanno perseguitato mogli, compagne, ex. Segnalazioni che l’emergenza sanitaria ha reso più difficoltose. È l’altra faccia della medaglia del calo di chiamate ai centri anti-violenza. “A febbraio avevamo appena preso contatto con tre persone con cui avviare un percorso, ma adesso è tutto bloccato spiega Silvia Merli, presidente del Cipm Emilia -. Noi siamo sempre aperti per accogliere nuove persone e continuiamo i colloqui in videochiamata con chi già seguivamo. Per fortuna non abbiamo casi ad altissimo rischio, perché la maggioranza dei nostri utenti non abita più con la vittima, tuttavia c’è bisogno di monitorare da vicino i loro comportamenti. Anche per questo abbiamo lasciato i nostri numeri personali: in caso di urgenza, c’è bisogno di un contatto diretto. Al tempo stesso, vogliamo studiare una modalità di accompagnamento per il futuro, non sapendo quando l’emergenza finirà”.

Essere costretti a stare sotto lo stesso tetto può logorare perfino le coppie all’apparenza più affiatate. “In alcune situazioni, dove la corda era già tirata, il fatto di restare fuori casa tutto il giorno per lavoro costituiva una sorta di via fuga. Oggi il rischio che la tensione sfoci in aggressività è reale”, evidenzia Merli.

Nell’anonimato, poche e semplici domande

Di qui l’idea del “sondaggio” che, dalla Sardegna, è stato diffuso in tutta Italia. “Di test ne girano tanti - non nasconde la promotrice Susanna Murru -. Noi volevamo proporre uno strumento semplice, diretto, veloce. Bastano un paio di minuti per raccontarsi e dire come ci si sente”.

Quando sento emozioni negative come le gestisco? Cosa mi infastidisce di più questo periodo? Cosa invece mi gratifica? Come percepisco le altre persone? Cosa mi manca? Sono solo alcuni dei quesiti, formulati attraverso un confronto via Skype tra i responsabili delle varie sedi del Cipm e sottoposti alla supervisione di Paolo Giovini.

“Il nostro è un approccio integrato, con professionisti di più ambiti, dallo psicologo al criminologo al pedagogista - puntualizza Murru - e questo si riflette anche sulla costruzione del test. Costretti in casa, tutti ci sentiamo le ali tarpate: il nostro desiderio è far emergere criticità e fatiche, andando a scoprire le pieghe in cui si può sviluppare la violenza e su cui occorre intervenire in anticipo. Le risposte ci aiuteranno a migliorare, in ottica preventiva, le nostre strategie ed azioni”.

Per ricevere il link con il questionario on line, si può scrivere all’indirizzo cipmpr-pc@libero.it.

Barbara Sartori

L’équipe del Cipm Emilia con la presidente Silvia Merli (la seconda da destra).

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